Notizie in trincea
Persi in una guerra senza vinti e vincitori
Persi in una guerra senza vinti e vincitori
| Alessandro Genitori
Ci sono mille punti da cui potrei partire per scrivere questi pensieri sparsi. La necessità, di comunicare un pensiero, un turbamento. La consapevolezza di non sentirmi più a mio agio nella comunicazione che giornalmente mi assale, tra media, social e la quantità di notizie che, più o meno subdolamente, il web mi propina ogni volta che navigo nel marasma di quella che è oggi “la rete”.
Siamo invasi dalle notizie. Arrivano incontrollate da ogni parte. E noi restiamo “in trincea”, a cercare di dipanare la matassa di una guerra senza vinti e vincitori. Qualche giorno fa, durante il 60° congresso della Società Italiana delle Neuroscienze, ho avuto il piacere di ascoltare la lezione magistrale di Sergio Della Sala. Neuroscienziato, accademico all’università di Edimburgo, che con Piero Angela ha fondato il CICAP (Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudoscienze). Chiacchierando con lui per un articolo su “neuroscienze e fakenews”, mi ha colpito una sua dichiarazione.
“Leggere scienza è già difficile di per sé, però leggerla attraverso internet è come avere sete e decidere di andare a bere direttamente da un idrante”
Anneghiamo tra le mille contraddizioni del web, dove è facile imbattersi in fakenews. Alcune costruite a regola d’arte e trovano terreno fertile in chi vuole leggere una determinata notizia. In quest’epoca di contrasti, dove ognuno sente il bisogno di essere l’eco di un personale credo, diventa quindi facile leggere le informazioni che sentiamo affini al nostro pensiero, in un circolo di autoconvincimento costante. E i nostri social diventano luogo dove far germogliare queste notizie, al di là della loro fondatezza, in una vera guerra di link, in cui ognuno può richiamare una notizia, citando frasi pronunciate da personaggi più o meno conosciuti. Basta che servano a poter ribadire la bontà del proprio pensiero, che diventa in tal modo sempre più dogmatico.
“Secondo me è meglio avere delle idee. Insomma puoi cambiare un’idea, ma cambiare un credo è tosta”
Quante volte vi è capitato che un vostra conoscente, amico, familiare, vi abbia mandato un link per sottolineare una sua posizione, magari diversa dal vostra? Ancorati in quei pensieri dove si assottiglia sempre di più lo spazio per l’empatia, la quale “suggerisce solo di collegare la tua singola esistenza a ciò che è umano in te come negli altri” (Emanuele Trevi – L’amico no vax e il solco incolmabile).
Allora che fare? Dobbiamo leggere i giornali tradizionali per avere una informazione “giusta”, fatta da giornalisti formati? Vorrei davvero, davvero, dire che è una soluzione. Ma non sarei sincero con me stesso, e quindi, al netto della stima che posso provare per il giornalismo (con la consapevolezza che molti davvero cercano di fare al meglio il proprio lavoro) resta innegabile che sempre di più anche il giornalismo sia alla mercé della legge capitalistica che vuole che una notizia sia valutata da quante visualizzazioni ha avuto.
E seguendo questo sistema corrotto, le fakenews oggi sono presenti e prolificano anche su giornali e telegiornali. Non solo notizie inventate, ma anche mal riportate, soggette a giochi sottili, titoli creati ad hoc per fare scalpore, per essere ripresi ed essere confezionati per masse bisognose di confermare le loro certezze, la loro indignazione, il loro bisogno di avere ragione. Questa non è più informazione!
Un titolo, uno slogan, una foto che cattura, ed ecco la tempesta perfetta per diventare una potenziale notizia di tendenza, quella magica parola, “virale” che porta visibilità, quindi pubblicità, quindi una operazione riuscita. E la notizia in tutto ciò? La verità? Quella cosa che sentiamo dentro ma che bisogna far attenzione a nominare perché appena detta, essa non esiste più (Pasolini, Che cosa sono le nuvole). La ricerca della verità vuole cura, vuole attenzione, vuole tempo. Tutte cose che abbiamo perso in quest’epoca di tutto e subito, di caos dell’informazione, dove tutti vogliamo apparire.
“Quando un uomo con un ragionamento incontra un uomo con uno slogan, l’uomo con il ragionamento è un uomo morto”
Ma vi ricordate quando i nostri social erano pieni della musica che ci piaceva, delle foto delle nostre uscite. Quelle “tracce” della nostra gioventù che abbiamo lasciato dietro di noi. Citando Zerocalcare, ancora pervaso da quella sensazione agrodolce che è il suo “Strappare lunghi i bordi”, cerco di aggrapparmi al “siamo solo fili d’erba”.
Vorrei davvero abbandonarmi a questa convinzione, sorridendo dinanzi l’arte di un artista che da anni stimo. Qualche giorno fa ho riletto una sua intervista (rilasciata a Chiara Severgnini per il Corriere della Sera nel 2018) in cui Michele ricordava “con orrore” come uno dei suoi fumetti era stato portato da un ragazzo ad una veglia di gruppo contrario alla legge anti-omofobia. E con la geniale simpatia che lo contraddistingue, ha comunque ribadito come al di là dei pensieri radicalmente diversi, abbiamo tutti visto più o meno gli stessi cartoni animati e mangiato le stesse merendine; che è normale che qualcosa ci accomuna.
Forse basterebbe questo, cercare di ritrovare il pensiero comune, l’empatia, che va oltre la guerra di trincea dove ci siamo arenati. Notizie in trincea, persi in una guerra senza vinti e vincitori. Noi, uno contro l’altro, e sotto di noi, leggi di mercato, di apparenza, che ci impongono di scavare buche sempre più profonde. Forse dovremmo solo imparare qualche volta a stare in silenzio, ad ascoltare. Ritrovare quello che ci accomuna, dinanzi un pianeta sofferente, preda suo malgrado di quelle buche sempre più profonde che rendono tutto il resto solo quel famoso “bla bla bla”…